Cave di Cusa

Singolare nel suo genere, il sito archeologico delle Cave di Cusa costituisce un unicum nel panorama archeologico del Mediterraneo ed è testimonianza dell’antica civiltà greco-megalese del VII secolo a.C..

La storia di queste antiche cave di pietra calcarenitica è infatti indissolubilmente legata al tragico destino della vicina città-stato di Selinunte, nella quale i grossi blocchi di tufo arenario estratti nelle Cave di Cusa furono utilizzati per costruire i templi selinuntini, notevole esempio dell’antico ordine architettonico dorico.

Le Cave di Cusa, anticamente conosciute come Ramuxara o Damus-ara (cava calda), si presentano ancora oggi come delle cave a cielo aperto, totalmente immerse nel verde di colture intensive. La presenza di enormi blocchi di pietra già segnati e intagliati per diventare parte di colonne e architravi, suggeriscono ai visitatori l’intero iter lavorativo che, secoli fa, impegnava schiavi e artigiani in un duro lavoro di estrazione e trasporto.

Gli scavi archeologici e gli studi hanno evidenziato i vari passaggi di cava. Nella prima fase si procedeva a praticare nel banco calcarenitico un solco circolare, corrispondente al perimetro dei rocchi delle colonne, all’esterno del quale si incideva una seconda circonferenza che andava così a delineare una corona circolare dello spessore di 50 cm circa. Questa parte di roccia, interna alle due circonferenze, veniva pian piano rimossa con gli scalpelli, fino a quando si raggiungeva l’altezza desiderata per il blocco; a quel punto, il blocco veniva staccato dal fondo roccioso con dei cunei di legno che, fatti gonfiare con l’acqua, permettevano di estrarre i blocchi.

I massi cilindrici estratti venivano, infine, trasportati verso Selinunte per rotolamento o, nel caso di massi squadrati, su carri trainati da buoi.

La singolarità di questo sito archeologico, attrazione turistica di notevole rilievo, è data però soprattutto dalla curiosa sensazione che il luogo, sospeso nel tempo, trasmette al visitatore. La presenza dei blocchi già estratti e lavorati e, stranamente, abbandonati nella cava permette al turista di immergersi totalmente in uno spazio indefinito nel quale i lavori, interrotti improvvisamente, sembra debbano riprendere da un momento all’altro. Girando tra i blocchi di pietra, nell’assoluto silenzio dei campi circostanti, a ogni visitatore è concesso spaziare con la mente verso tempi di gloria ma anche di disfatta, immaginando quell’attacco del cartaginese Annibale Magone che, nel 409 a.C., costrinse alla fuga i Selinuntini e, con essi, tutti i lavoratori della cava.

Il parco archeologico di Cave di Cusa, intitolato all’archeologo Vincenzo Tusa che ne curò gli scavi, continua a essere avvolto da un’atmosfera che sa di eterno e che lascia senza fiato ciascun visitatore.